La rivoluzione non russa

24 01 2008

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La rivoluzione se ne frega se è gennaio e hai un sacco di lavoro arretrato e nemmeno il tempo di leggere la gazzaonline, figurarsi di aggiornare il blog. Le cose succedono, punto. E non c’è verso di evitarlo. Non può la EMI – per dirne una – figurarsi io. Quindi andiamo con ordine e facciamo un bel post multiplo che aggiorni un po’ la cronaca. Che da lunedì, magari, si potrà tornare a scrivere con continuità e tempestività.

Cominciamo con qualcosa di vintage. In questi giorni in Italia si è fatto un gran parlare del ritorno del vinile. Vivo e vegeto per alcuni, morto morto per altri, sta di fatto che, stando ai dati pubblicati da TIME, il mercato dei dischi è cresciuto del 15,4% nel 2007 ( dopo il + 37% del 2006) raggiungendo le 990.000 copie complessive vendute negli USA. D’accordo, sono cifre ridicole se paragonate, tanto per fare un esempio, a quelle dei 77 milioni di brani venduti su Itunes, con una crescita del 50% nel solo 2007,  divulgate la scorsa settimana da Steve Jobs (dopo parleremo anche di lui, tranquilli). Ma è comunque un mercato in espansione, con una domanda che si nutre non solo di nostalgia, ma anche di due istanze che – nell’era dell mp3 e dello streaming – sembravano scomparse: la voglia di un suono pieno e di qualità e il bisogno di possedere un oggetto. Non sottovalutiamole, ste cose.

Nel frattempo, il cd se la passa sempre peggio. Mark Cuban, ex CEO di Broadcast.com, dichiara che è ormai morto e che si è portato nella tomba pure il formato-gemello dell’album di canzoni. Steve Jobs lo leva dal suo nuovo MacBookAir dichiarando – mentre sul video scorre un cd che rotola via – che “non ne sentiremo la mancanza”. E la EMI spedisce un milione di album invenduti di Robbie Williams ai cinesi, che ne faranno sedime per asfaltare le strade. Ho visto fini meno ingloriose.

Nel frattempo la rivoluzione della musica digitale ed eterea va avanti senza freni. Tutte le major hanno o stanno levando il Drm dalle tracce di loro proprietà. Su Last.fm – forse il primo esempio di celestial juke box “legale” –  ormai gira tutta la musica gratis in streaming. Nel frattempo We7 – di cui avevamo parlato poco tempo fa – ha finito la sua fase da start up ed è stata pesantemente ricapitalizzata per permetterle di comprarsi il catalogo di una o due major e di distribuirlo gratuitamente con l’aggiunta di qualche secondo di pubblicità. E per finire in bellezza, ecco YouTorrent, il motore di ricerca di file torrent da scaricare in peer to peer.

Dimenticavo: la EMI ha annuciato che licenzierà dai 500 ai 700 addetti e che taglierà dall’1% al 2% dei 14.000 e oltre artisti del suo roster. Spiace ( e molto) per i primi. Riguardo ai secondi, non è detto che, visto come vanno le cose, non potranno avere maggior fortuna di chi rimane.





Musica gratis. O quasi

28 11 2007

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Se c’è un “dunque” a cui arrivare, in questa traversata nel deserto della discografia,  quello è senza dubbio la fine della musica come bene a pagamento. O la fine della musica e punto, per i più pessimisti. Inguaribili ottimisti come siamo, non prendiamo nemmeno in considerazione la seconda ipotesi. Ma con l’ultimo barlume di realismo che ci rimane, proviamo a fare le pulci alla prima. “Non ci sono pasti gratis”, mi rammenta la mia fidanzata-economista, citando il celebre slogan dei monetaristi di Chicago, ogni volta che le racconto di quel che ho scoperto in rete sulla nuova discografia creativa. E anche Chris Anderson, autore de “La coda lunga”, che attualmente sta scrivendo un saggio dall’emblematico titolo “Free” sull’economia del dono, ricorda che ciò che viene definito come gratis, quasi sempre “non lo è del tutto, ma abbastanza per dar fuoco all’immaginazione”.

Gratis o quasi gratis, ce ne sono parecchi di fiammiferi che danno fuoco all’immaginazione, nell’attuale mercato musicale. Tre casi su tutti. Due stranieri e uno a casa nostra.

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