Jill Sobule come Kristin Hersh

7 03 2008

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I risultati. Ecco cosa mancava sinora. Tante idee, tante vie alternative alla discografia tradizionale di finanziare, promuovere, vendere la musica. Pochi numeri, però, con cui poter affermare convinti che la rivoluzione era in atto e che tra le major e il peer2peer c’era una terza via. Quella del rapporto diretto tra produttori e consumatori di musica. Quella dei master in mano agli artisti e di un’offerta sempre più dinamica e personalizzabile.

Parliamo del finanziamento, stavolta. Perchè fa proseliti l’idea di finanziarsi l’album senza chiedere un anticipo ad un’etichetta discografica, ma appellandosi direttamente ai propri fan. Due sono le scuole di pensiero, in questo senso: quella di siti come Sellaband e Silcethepie mira a connettere artisti e piccoli finanziatori promettendo a questi ultimi dei ritorni sulle vendite dell’album. Il modello, in questo caso, è quello di un piccolo mercato azionario. Molto economics, a dire il vero, e molto poco rock.  

La seconda scuola di pensiero è quella della Cash Music di Kristin Hersh. Quella che mira ad aggregare mecenati, non azionisti. All’apparenza una strada più difficile. Mai sottovalutare il potere della musica, però. Perchè quella che sembrava un’idea balzana di un’artista balzana sta facendo numerosi proseliti. Xiu Xiu e Donita Sparks sono entrati in Cash Music. E un’altra artista americana, Jill Sobule, sta percorrendo questa strada. Attraverso diversi gradazioni di finanziamento, che vanno da 10 a 10.000 Dollari, Jill concede ai suoi mecenati una pre-release del cd (25$), l’ingresso gratuito a tutti i concerti(200$), una canzone dell’album in cui inserisce il tuo nome (500$), un concerto nel tuo salotto di casa (5.000$) e infine la possibilità di cantare assieme a lei nel cd (10.000$).

Se siete scettici, avrete di che ricredervi. Jill aveva bisogno di 75.000$. Siamo a quota 71.000$. Dicevamo, i risultati…


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5 responses

7 03 2008
renatoq

Poi certo bisogna far cantare nel CD chi ha speso 10.000$. Ma magari i risultati non potranno essere molto peggiori di quelli ottenuti dai Fiery Furnaces facendo cantare la propria nonna…

Post molto interessante, come al solito.

8 03 2008
renatoq

Più a freddo: mi sembra che questo modello di ricorso al mecenatismo porti il mercato della musica pop abbastanza vicino al mercato dell’arte contemporanea. E’ come se stesse entrando in crisi un modo di pensare il pop come prodotto di massa. L’impressione è che, per alcuni musicisti che stanno in settori abbastanza specifici del mercato (piccoli numeri, alta qualità), cominci ad aver senso pensare di vendere la propria musica come un prodotto per pochi: non 3 mila copie a 15 euro, ma 15 copie a 3 mila euro. Sto esagerando, ma è per suggerire una tendenza, anche se in realtà quelli che hai presentato sono più propriamente modelli ibridi, con una componente di mecenatismo e una componente di diffusione più tradizionale. Diciamo che, se nascessero oggi, forse gli Stereolab farebbero meno dischi come Emperor Tomato Ketchup e più dischi come Music for the Amorphous Body Study Center, l’EP che avevano realizzato per una mostra di Charles Long. Che poi era una delle loro cose migliori.

Da un certo punto di vista non c’è niente di nuovo. La storia del pop è piena di momenti in cui mercato musicale e mercato dell’arte si sono toccati a vicenda. Oggi per chi fa musica molto di nicchia, per esempio musica elettronica, è abbastanza normale stare a cavallo tra questi due mercati, facendo per esempio, oltre ai dischi e ai concerti, installazioni sonore, oppure pensando al disco come a un prodotto artistico in senso stretto, con una componente sonora e una visiva: penso ai miei concittadini My Cat Is An Alien, che stampano CD e vinili in tirature di 10, 20 copie. Quello che forse è più strano è pensare che una simile strategia cominci ad essere remunerativa anche per chi fa pop o rock, cioè generi musicali che hanno da sempre nel loro DNA una vocazione a raggiungere un pubblico più vasto.

10 03 2008
PIE

Beh, direi molto, molto poco rock…

Se lo facessimo noi, nel nostro disco potremmo sentire in sottofondo uno che canta “Buoni o cattivi” senza per altro ricordarsi come va a finire…

10 03 2008
rockonomics

@Renato: “non 3.000×15, ma 30.000×0 e 15.000×3”. Low cost e Deluxe. E il bello è che funziona. Strano sia passato sottosilenzio che le 2.500 copie di Ghost firmate da Reznor e in vendita a 300 Dollari l’una sono state tutte vendute in un giorno. Nell’era della musica gratuita un musicista ha guadagnato 750.000 Dollari in un giorno, nonostante la stessa musica fosse disponbile a 10$ (e per 1/4 gratis) sul suo stesso sito. Non so se mi spiego…

@Pie: trovo il mecenatismo e il rapporto diretto tra fan e artisti molto molto rock. Anzi, rock 2.0.
E trovo rock anche un vecchio ubriaco che canta “Buoni e cattivi” di Vasco nel soundcheck di un concerto sfigato nel locale più di merda che esiste…

23 06 2008
La cassettina degli Hormonauts, l’ “arcobaleno” di Girl Talk « Rockonomics

[…] e affezionatissimi friutori come quella dell’ alternative country americano di Kristin Hersh e Jill Sobule? E che mi dite delle innovazioni nella registrazione dei concerti, portate avanti da due live band […]

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